Criptovalute, libertà e democrazia

Criptovalute, libertà e democrazia
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Le criptovalute vengono solitamente criticate per alcuni loro aspetti controversi: per il fatto che sono scambiate con enormi fluttuazioni rispetto alle valute tradizionali, e questo le rende un ottimo strumento nelle mani degli speculatori, per il fatto che spesso consumano tantissima energia e perché vengono abitualmente associate a scambi anonimi di denaro, il che le rende una buona opzione per alcune tipologie di criminalità, soprattutto quella di tipo informatico.

Proviamo per esempio a pensare a Bitcoin: sappiamo che l’infrastruttura tecnologica che lo sostiene, la Blockchain, consuma moltissima energia elettrica, tanto che, secondo alcune stime, se fosse un paese del mondo si collocherebbe al ventiseiesimo posto nella classifica di quelli che consumano di più, posizionandosi tra la Malesia e l’Egitto. Proviamo a pensarci un attimo: una criptovaluta la cui infrastruttura tecnologica consuma quanto l’Egitto, sicuramente una questione su cui riflettere. Approfondendo il tema, d’altro canto, si scoprirebbe che moltissima dell’energia impiegata proviene da fonti rinnovabili e che in molti casi non potrebbe essere impiegata diversamente. Inoltre anche la gestione a livello planetario delle valute tradizionali e le infrastrutture di pagamenti e regolamenti finanziari nel mondo consumano una quantità di energia enorme. Insomma, la questione di “quanta energia consumano le criptovalute” è complessa e non deve farci cadere nella tentazione di semplificare il ragionamento dietro un semplice “consumano troppo”.

Anche i pregiudizi legati alla “valuta preferita dalla criminalità” andrebbero fortemente ridimensionati, oggi la gran parte degli scambi economici della malavita avviene utilizzando valige e buste cariche di denaro contante oppure, più facilmente, attraverso transazioni elettroniche in valuta tradizionale su conti anonimi e cifrati tra paesi che sono molto bravi a mantenere la riservatezza dei clienti delle proprie banche.

Contrariamente a quello che spesso si è portati a pensare, infatti, solitamente le criptovalute non sono anonime, anche se potrebbe essere difficile risalire all’identità di chi sia in possesso delle chiavi per utilizzare un certo indirizzo e quindi abbia nella pratica la disponibilità del valore che esso contiene. Tra l’altro tutte le transazioni sono pubbliche, quindi è sempre possibile determinare come si muovono le quantità di valore che vengono scambiate da un certo insieme di indirizzi sulle varie Blockchain. A ulteriore dimostrazione di quanto poco anonime siano queste architetture, basti ricordare che gli autori del famoso attacco a Twitter del Luglio 2020, che aveva come obiettivo una truffa in Bitcoin, sono stati tutti rintracciati e arrestati proprio analizzando i movimenti dei Bitcoin che avevano ottenuto illegalmente.

Esistono, è vero, criptovalute pensate esplicitamente per migliorare la privacy degli utilizzatori, come Monero e Zcash, ma al momento hanno volumi di scambio che, se confrontati con le altre criptovalute più diffuse, sono trascurabili.

Il fatto che molte criptovalute costituiscano oggi degli ottimi strumenti speculativi dipende dalla loro elevatissima volatilità. Bitcoin, per esempio, ha una volatilità obiettivamente non comune se la si confronta con quella di altri asset tipici su cui fare investimenti. Nonostante Bitcoin sia nativamente dotato di caratteristiche deflattive, il che significa che è normale che il suo valore tenda ad aumentare nel tempo a causa della sua scarsità, esso non è stato inizialmente concepito per essere propriamente un asset di investimento, ma una riserva di valore eventualmente da scambiare come se fosse una valuta, quindi le ampie oscillazioni a cui è soggetto il valore di Bitcoin sono in realtà l’effetto delle azioni speculative su di esso, non la causa.

Il punto è che Bitcoin, come altre criptovalute, nasce con l’obiettivo di rendere diretto, e quindi non intermediato, lo scambio di valore tra le persone, tagliando fuori dal gioco tutti quegli attori che oggi hanno il ruolo di intermediari, come il sistema bancario e tutte le entità in grado di influenzare e controllare gli intermediari stessi, come le banche centrali o i governi dei singoli paesi.

Oggi qualunque scambio di valore tra due persone può avvenire fondamentalmente in due modi: in denaro contante, la cui produzione e gestione è esclusivamente sotto il controllo delle banche centrali dei vari paesi del mondo, oppure in formato elettronico, passando quindi dagli stessi sistemi bancari o dai circuiti che producono le carte di pagamento. Per qualunque transazione è quindi necessario, sempre e in ogni condizione, passare attraverso un intermediario e questo intermediario è sempre sotto il diretto controllo del paese in cui si vive.

Questo significa che se il governo di quel paese ha una politica economica che causa inflazione altissima togliendo il potere d’acquisto alla valuta tradizionale, chi la usa non ha alcun modo per impedire che questo accada. Allo stesso modo, se un paese decide di bloccare tutti i movimenti sui conti correnti bancari, di spegnere i bancomat e di togliere all’intera popolazione la disponibilità alle sue risorse economiche personali, chi vivrà in quel paese non potrà che prenderne atto e tornare all’economia del baratto.

Possono sembrare due esempi al limite della fantascienza, ma in realtà si tratta di cose che accadono ai giorni nostri.

Nel 2018 il Fondo Monetario Internazionale aveva stimato che l’inflazione in Venezuela era arrivata a 1.000.000% (un milione percento), cioè il potere di acquisto si era ridotto in un anno di diecimila volte. È come se un impiegato che a Gennaio guadagna 1.500 euro si trovasse a Dicembre sempre con quei 1.500 euro, ma che il reale potere d’acquisto fosse quello di 15 centesimi di euro di Gennaio.

Questo ha spinto molti cittadini venezuelani a proteggere i loro risparmi, e a distaccarsi dalle politiche economiche del loro paese, convertendo i loro risparmi in criptovalute.

Nell’Agosto 2021, a seguito della presa di Kabul da parte dei Talebani, moltissimi cittadini afgani hanno cercato di ritirare i loro risparmi dai conti correnti bancari. In alcuni casi per tentare una fuga, in altri casi per tentare di mettere al sicuro la ricchezza di loro proprietà. Come risposta a questa situazione il nuovo governo afgano ha deliberato il blocco di qualunque movimento bancario e quindi l’impossibilità per i cittadini di prelevare il proprio denaro.

Anche in questo caso sono stati enormemente avvantaggiati nella loro fuga non quelli che avevano con loro il denaro contante, che può essere facilmente rubato, ma soprattutto quelli che avevano depositato tutta la loro ricchezza in criptovalute, memorizzando le chiavi di accesso che in futuro potranno consentire loro di accedere nuovamente, da qualunque computer e da qualunque parte del mondo, all’intero ammontare della loro ricchezza, tanta o poca che sia.

Ecco quindi che quando si parla di criptovalute bisogna considerare tutte le loro caratteristiche, e dare maggiore rilevanza a quelle che noi, occidentali del primo mondo, diamo un po’ troppo per scontate e che hanno a che fare con i concetti di libertà e democrazia.