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IL MONDO OGGI

Riassunto geopolitico della giornata, con analisi e link per approfondire e ricostruire il contesto.

Il mondo questa settimana: Huawei, Francia-Germania, la Corea in Italia

Il riassunto geopolitico degli ultimi 7 giorni.
con Federico PetroniLorenzo Di MuroMarco MilaniSimone BenazzoCommenti Di
Pubblicato il Aggiornato il
Carta di Laura Canali.
Carta di Laura Canali. 

Colonna sonora consigliata per questo articolo: Love, The red telephone


LA PARTITA STRATEGICA SU HUAWEI [di Federico Petroni]

La notizia più interessante della settimana è stata la conclusione dell'intelligence britannica che il Regno Unito è in grado di gestire il rischio che la rete Internet del 5G sviluppata dall'azienda cinese Huawei venga usata da Pechino a fini spionistici.

L'annuncio è notevole. Da un punto di vista tecnico, è molto difficile assicurarsi che il produttore di una rete non lasci aperte le cosiddette "porte sul retro" (backdoor) per accedervi indisturbato, sottrarre segreti o diffondere virus. Ma ciò che più conta è che Londra non si schieri con gli Stati Uniti, specie dopo essersi accordata con i Five Eyes per lanciare una campagna proprio contro Huawei; nei mesi scorsi, tutti e cinque gli alleati hanno preso misure per limitare la presenza dell'azienda entro i propri confini.

Il Regno Unito può aver preso questa decisione per vari motivi. Potrebbe volersi ingraziare la Cina per facilitare un accordo di libero scambio, visto il raffreddamento con il Giappone e l'incertezza sul Brexit. Oppure non rinunciare a un'ulteriore opportunità economica in giorni di fuggi fuggi bancari e automobilistici dal paese: le alternative al 5G di Huawei al momento costano troppo e saranno fruibili non prima di un anno. O ancora, Londra forse vuole testare il suo margine di autonomia rispetto agli Usa, nella velleità di ritagliarsi influenza mondiale non solo come pedone dell'impero americano.

È troppo presto per discernere le ragioni britanniche e capire se Londra andrà fino in fondo. Di certo, è un duro colpo per la campagna americana contro Huawei. Non a caso, il segretario di Stato Mike Pompeo ha subito fatto ricorso alla minaccia, dichiarando che Washington non farà collaborazioni militari con chi adotterà tecnologia cinese, per paura di compromettere i propri sistemi d'arma (la Germania è scettica, l'Italia oscilla).

La questione non è tecnica, il punto non è se l'intelligence britannica può davvero difendersi. Gli Stati Uniti hanno due obiettivi, uno tattico e l'altro strategico.

Il primo è impedire a Pechino, che è in netto vantaggio nello sviluppo del 5G, di disseminare i propri strumenti d'influenza nel mondo. Ossia di replicare quanto fa Washington da 70 anni a questa parte, dall'invenzione del transistor alla globalizzazione dei social network, passando per la diffusione del World Wide Web. Gli americani ancora controllano i mari e dunque i cavi subacquei da cui dipende Internet. Ma il 5G cinese espanderebbe a dismisura le capacità di spionaggio e minaccia della Repubblica Popolare. Se davvero vorranno respingere l'offensiva cinese, gli Stati Uniti dovranno essere in grado di fornire un sistema alternativo, per quanto improbo il compito possa sembrare oggi.

Il secondo è mettere pressione alla Cina. L'assolutezza delle pronunce contro Huawei è parte del più ampio tentativo di soffocare i cinesi entro i propri confini. È un tassello che si affianca alla guerra dei dazi, nella quale peraltro i due rivali stanno trovando un'intesa che però non sarà in grado di eliminare le principali e strumentali ragioni del contendere: lo squilibrio nell'interscambio, le riforme per rendere la Cina un'economia di mercato, il ciberspionaggio industriale.


FRANCIA, GERMANIA E CONCORRENZA [di Federico Petroni]

In settimana, i ministri degli Esteri francese e tedesco hanno presentato un manifesto per una politica industriale europea. Gli obiettivi: coordinare le misure a sostegno dell'innovazione, riformare le regole dell'Ue sulla concorrenza e potenziare gli strumenti di protezione per le imprese continentali, anche filtrando gli investimenti extraeuropei.

La vicenda Siemens-Alstom ha definitivamente convinto Parigi e Berlino che le norme comunitarie non sono adeguate a sviluppare dei "campioni europei" in grado di reggere la competizione con colossi cinesi o statunitensi. Propongono persino che il Consiglio Europeo (il consesso dei governi dei membri Ue) possa rovesciare in alcune circostanze le decisioni della Commissione.

Si tratta di un'ulteriore dimostrazione dell'insussistenza di una soggettività dell'Unione Europea. Nonché di una robusta iniezione di nazionalismo nelle politiche economiche. In ragione della propria debolezza e piccola taglia, i principali esecutivi d'Europa non ritengono più le forze del libero mercato in grado di garantire il meglio per la comunità nazionale. Lo Stato rivendica il diritto di dirigere gli attori economici verso i propri obiettivi strategici.

Come tutti i balzi in avanti proposti dall'asse franco-tedesco (bilancio dell'Eurozona, difesa comune, eccetera), l'iniziativa verrà avversata dal fianco orientale dall'Ue e dal "club del brutto tempo", il blocco settentrionale europeo guidato dai Paesi Bassi.

Tuttavia, a frenarla saranno le stesse Francia e Germania, a causa di divergenti imperativi strategici. Berlino vuole rendere se stessa e la propria sfera d'influenza continentale autonoma dagli Stati Uniti. Washington non è disposta a concederglielo: vedi i possibili dazi all'import di auto e l'opposizione a Nord Stream 2 e al fantomatico esercito europeo. Dal canto suo, Parigi intende agganciarsi al carro tedesco soltanto per arrivare là dove da sola non è in grado di arrivare. Ma senza rinunciare alla propria indipendenza e facendo da stopper delle ambizioni teutoniche, anche per conto degli Usa.


ULTIMATUM AL VENEZUELA [di Lorenzo Di Muro]

È prevista per sabato 23 febbraio l'entrata degli aiuti internazionali (non approvati dall'Onu né dalle principali organizzazioni umanitarie) in Venezuela, dopo una settimana segnata da nuove sanzioni individuali statunitensi contro il regime e i moniti a disconoscere Nicolás Maduro rivolti alle Forze armate venezuelane dal presidente Donald Trump e dal capo del Comando militare per il Sudamerica, Craig Faller.

Siamo in piena strategia della "massima pressione", il cui sbandieramento dell'opzione bellica continua però a scontare l'avversione dei paesi della regione. E soprattutto dell'ennesimo test per la fedeltà delle Forze armate del Venezuela che, nonostante il malcontento e alcune defezioni, hanno confermato il loro sostegno al successore di Chávez.

Maduro definisce la raccolta degli aiuti ai confini venezuelani (Colombia, Brasile e Curaçao) come un espediente per causare disordini e giustificare un intervento militare guidato dagli Stati Uniti coadiuvato dai loro partner regionali. Ecco perché ha risposto con manovre quali la mirata chiusura di frontiere e collegamenti con paesi parte del disegno "imperialista" e mosse simboliche come l'incontro con emissari di Putin a Mosca.

Eppure i due principali sostenitori di Maduro, Cina e Russia, hanno fatto capire che l'ombrello diplomatico e finanziario garantito finora non è incondizionato. E sono in trattative per stabilire relazioni con Juan Guaidó, stando allo stesso presidente riconosciuto dall'Occidente e da gran parte del Sudamerica. In questo quadro si inserisce l'assicurazione reiterata dalle opposizioni che eventuali elezioni presidenziali - che il Cremlino riconoscerà soltanto se convocate da Maduro - non escluderebbero la compagine del Partito socialista.

A fronte di un isolamento e di una pressione crescenti, Maduro continua a trincerarsi dietro le Forze armate e fare perno sulla narrazione del nemico esterno. Proprio l'esercito venezuelano resta l'attore che, in caso di una prova di forza, deciderà le sorti del paese caraibico.


ITALIA E COREA DEL NORD [di Marco Milani]

La notizia del rimpatrio della figlia dell’ex ambasciatore ad interim della Corea del Nord a Roma, Jo Song-gil, ha fatto rumore anche sulla scena politica italiana.

Jo aveva disertato assieme alla moglie lo scorso novembre quando stava per essere richiamato in patria. La segretezza spesso associata alle questioni politiche di P'yongyang è in questo caso amplificata dal fatto che sono coinvolti i servizi di sicurezza di diversi paesi, tra cui l’Italia. La notizia della defezione di Jo, ad esempio, era stata veicolata per la prima volta da un membro dell’Assemblea nazionale sudcoreana citando fonti di intelligence del proprio paese.

Questa volta a dare l’annuncio del rimpatrio della giovane è stato l’ex diplomatico nordcoreano Thae Yong-ho, il quale a sua volta aveva disertato dall’ambasciata nordcoreana a Londra nel 2016. Secondo Thae, la figlia di Jo sarebbe stata rimpatriata poche settimane dopo la defezione dei genitori. Se in un primo momento pareva che i servizi di sicurezza nordcoreani fossero intervenuti per un rimpatrio forzato – si è da subito parlato di un sequestro – il quadro potrebbe essere più complicato. La giovane, ancora minorenne, infatti, avrebbe forse deciso di rientrare in patria di propria spontanea volontà. La versione rilasciata dall’ambasciata nordcoreana è che non vi siano motivazioni politiche dietro alla decisione di Jo e che la figlia sia stata riaccompagnata in Corea del Nord da personale dell’ambasciata dietro sua richiesta.

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UCRAINA EUROPEA (SULLA CARTA) [di Simone Benazzo] 

In occasione del quinto anniversario delle proteste note come Jevromajdan, Kiev ha approvato degli emendamenti costituzionali che, ribadendone "l’identità europea", stabiliscono ufficialmente l’entrata nella Nato e nell'Unione Europea come obiettivi strategici della repubblica post-sovietica.

Il presidente uscente Petro Poroshenko, in piena campagna elettorale per il voto del 31 marzo, si è addirittura spinto a promettere che entro il 2023 avanzerà la richiesta di adesione a Nato e Ue. Da Bruxelles tuttavia non è pervenuta alcuna reazione ufficiale, a parte una dichiarazione retorica del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk: un allargamento ora, in una temperie tumultuosa per quanto riguarda i rapporti con il Cremlino, sarebbe assolutamente prematuro. Fare orecchie da mercante è la tattica più lungimirante.

Pubblicamente, l’Alleanza Atlantica - cioè l'America - si è limitata a reiterare la propria disponibilità teorica a accogliere nuovi membri. Concretamente, questo potente atto simbolico potrebbe essere il preludio a un irrobustimento (discreto) della presenza in loco della Nato, che la scorsa settimana ha ventilato la possibilità di contribuire al potenziamento della flotta ucraina a fronte della crescente tensione nel Mar d’Azov. Certo è che, dopo l’autocefalia recentemente ottenuta dalla chiesa ortodossa, Kiev allarga ulteriormente la faglia con Mosca ex lege. Nel medio termine è improbabile che le aspirazioni euro-atlantiche di Kiev possano essere esaudite. La repubblica post-sovietica pare destinata a rimanere sospesa tra Occidente e Russia, senza unirsi a nessun organismo sovranazionale - neppure alla Uee.

Per approfondire: Tra Russia e Ucraina. L’Azov è diventato un mare di guai