Il Tirreno

Heysel, la "staffetta della memoria" da nonno a nipote

Un'immagine drammatica della notte dell'Heysel
Un'immagine drammatica della notte dell'Heysel

Andrea Lorentini aveva tre anni quando il padre Roberto morì nello stadio belga. Il nonno Otello fondò l'Associazione familiari delle vittime e la sua lotta portò alla sentenza che punì l'Uefa e a stadi più sicuri. Ora il nipote rilancia la battaglia per la giustizia

23 maggio 2015
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AREZZO. Quando suo padre Roberto Lorentini perse la vita all'Heysel, Andrea aveva da poco compiuto tre anni. Di lui oggi non ha che pochi flash, ma in cuore serba tutta la determinazione  e la generosità di quel giovane medico aretino che non esitò a tornare indietro per salvare un bambino, a costo della sua vita. Per fondare, anzi rifondare l'Associazione familiari vittime dell'Heysel, Andrea è partito da lì e dalla forza di suo nonno Otello che allo stadio c'era e vide morire il suo unico figlio.

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Attraverso l'Associazione, Andrea porta avanti il ricordo di quella tragedia "che non è avvenuta a caso" e lo fa nel rispetto della verità perché -  dice - "non c'è memoria senza verità".
Oggi Andrea Lorentini ha 33 anni, vive nella stessa casa di papà Roberto e nonno Otello, è sposato da poco con Elisa, ha una laurea in scienze della comunicazione e una professione, quella di giornalista, che lo ha spinto a seguire le orme del nonno.

"Otello è scomparso lo scorso gennaio a 91 anni. Quando perse suo figlio ne aveva 61 ed era andato in pensione da cinque mesi per occuparsi insieme a mia nonna di me e mio fratello Stefano, visto che mia madre Arianna era laureanda in medicina e aveva ovviamente bisogno di sostegno. Dal giorno della tragedia dell'Heysel - racconta Andrea Lorentini - non ha mai smesso di lottare, di cercare giustizia non solo per suo figlio ma per tutte le 39 vittime. Per affrontare il processo e costituirsi parte civile aveva bisogno però di trovare forza in un'associazione che fondò di lì a poco".

IL VIDEO: LE IMMAGINI RAI DELLA TRAGEDIA

 

"Nei primi anni la sua fu una sorta di battaglia contro i mulini a vento, nessuno ascoltava, nessuno sentiva. Dopo la prima sentenza che assolse la Uefa, nonno Otello non si perse d'animo e si batté per il secondo grado di giudizio. Faceva tanti viaggi a Bruxelles insieme ad avvocati di Arezzo che lo seguivano e che tutelavano l'associazione attraverso il legale italobelga Daniel Vedovatto. Si deve alla sua forza - dice Andrea con orgoglio - se la storica sentenza del 1991, condannando l'Uefa, ha scritto una pagina che fa tutt'ora giurisprudenza e che obbliga la stessa Uefa a scegliere stadi e standard di sicurezza elevati dal momento che l'ha dichiarata colpevole per quanto accadde all'Heysel. Mio nonno ha dato sicuramente un grande contributo affinché la violenza negli stadi regredisse in alcuni casi fino a sparire totalmente".

Nel 1992 l'Associazione si estingue ma Otello Lorentini non si ferma e fonda il Comitato contro la violenza nello sport Lorentini Conti (il cognome di Giuseppina l'altra vittima aretina dell'Heysel): "E' frutto del lavoro di questo comitato l'amichevole nel 2005 tra le formazioni primavera di Juventus e Liverpool, in quella della Juve c'erano Marchisio e Giovinco destinati poi ad altre platee". Subito dopo l'attività si ferma e, a gennaio di quest'anno, quando Otello scompare, Andrea Lorentini decide di fondare l'Associazione vittime dell'Heysel.

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"Con la morte di mio nonno non volevo che il ricordo scomparisse, ho fondato l'Associazione per difendere la memoria, portare avanti i suoi principi e promuovere iniziative per diffondere la cultura sportiva. Il 29 maggio saremo a Torino per la messa che condivideremo con la Juventus. Avevamo pensato anche ad un monologo che ricostruisse con esattezza i fatti ma non ci siamo trovati d'accordo con la società su un punto: per la Juventus l'importante è ricordare, per l'Associazione che rappresento è raccontare la verità, senza imbarazzi perché alla fine la Juventus è vittima essa stessa di negligenze e pecche di Uefa e organizzazione belga. Il disgelo con la società è avvenuto nel 2010 con Andrea Agnelli, con il quale mi sono incontrato più volte. Spero che il dialogo possa proseguire proprio sul desiderio di raccontare la verità che non condanna nessuno se non le coscienze degli uomini che quella sera, con le loro pesanti negligenze hanno, per contro condannato, a morte 39 persone".
 

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