Roma

Criminalità, "Dalle case ai ristoranti
così i clan inquinano l'economia di Roma" 

Parla il tenente colonnello Gerardo Mastrodomenico, comandante del Gico: "Ecco gli affari criminali"

2 minuti di lettura
DUE importantissime operazioni ieri mattina hanno inferto un nuovo e duro colpo alle mafie che ormai si sono inserite nelle maglie di Roma e del Lazio, attraverso investimenti milionari. A spiegare come si contrastano oggi le infiltrazioni è il tenente colonnello Gerardo Mastrodomenico comandante del Gico, il gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata.
Immobili, ristoranti, stabilimenti balneari: è così che la mala ha ormai inquinato l'economia "sana"?
"Proprio così, le potenti famiglie criminali hanno da tempo investito i loro capitali principalmente in immobili e nella ristorazione. E la crisi ha in qualche modo facilitato l'espandersi della malavita: l'aumento delle difficoltà di accesso al credito, ha portato imprenditori puliti a rivolgersi ad altri canali".
La criminalità si avvale di prestanome. Come fate a stanare i reali possessori dei beni?
"Esistono due tipologie di approccio: uno storico, nel senso che si focalizza l'attenzione sui soggetti con curriculum criminale datato e si individuano beni a loro riconducibili. La ricostruzione sconta delle difficoltà rispetto ai prestanomi. E allora entra in campo il secondo approccio".
Ovvero?
"Si procede secondo il principio del doppio binario: mentre si studia la storia del bene economico "sospetto", si lavora anche sul fronte penale, cioè sulle risultanze investigative tecniche".
Per risalire al vero possessore del bene si studiano i rapporti tra il prestanome e il malavitoso sospettato?
"Esattamente: un contatto telefonico tra un mafioso e un imprenditore in difficoltà può aprire un mondo dal punto di vista economicopatrimoniale e da qui scatta l'approfondimento di perfetti sconosciuti titolari di beni patrimoniali. Il sequestro del "Cafe de Paris", ad esempio, è il frutto di un'azione sinergica tra le attività del Ros e il controllo patrimoniale della guardia di finanza. Questo ha permesso di capire che un barbiere sconosciuto era un imprenditore di spessore".
Ci sono delle spie che vi consentono di fiutare un business sospetto?
"Certo, il raffronto tra redditi lecitamente dichiarati e beni posseduti danno la reale misura delle provviste finanziarie. E ancora: l'esistenza di una pluralità di schermi societari tra il titolare di fatto e la società oggetto di approfondimento costituiscono una serie di indizi".
Se è vero, come è vero, che tra il primo e l'ultimo titolare di una qualsiasi attività della malavita, ne passano altri dieci, come si fa a dimostrare davanti a un magistrato il legame società-malavita?
"L'analisi storica dei vari passaggi delle quote societarie è un meccanismo di scatole cinesi, il nostro compito è aprirle. Mentre fino a vent'anni fa il meccanismo di intestazione fittizia era verso familiari e conviventi, attualmente i prestanome sono soggetti molto distanti dal mafioso, dal punto di vista criminale, non parliamo di criminali veri e propri, sono perfetti sconosciuti. Per questo si studiano cessioni di quote societarie, si valorizzano intercettazioni telefoniche vecchie e poi si arriva al bandolo della matassa".
Detto così, sembra facile.
Sorride il colonnello. "No, non lo è".